Non ho voluto farlo prima, per via di un forte senso d’inadeguatezza.
Il silenzio mi sembrava la reazione più giusta e rispettosa da parte mia. Davvero, lo dico senza perbenismi o falsi cordogli: ho pensato che ad avere il diritto di reagire, replicare, partecipare, scrivere, commentare, magari con un’immagine… fossero altri.
E in tanti l’hanno fatto, a volte in modo addirittura commovente.
Li ringrazio tutti, perché l’attentato alla sede di Charlie Hebdo ha toccato in me, come in moltissima altra gente, corde vive e profonde.
Adesso che è passata una settimana da quel terribile momento, adesso che ben altri hanno parlato, adesso che tutto è stato già detto, adesso – e solo adesso – riesco a dare un mio piccolo contributo senza per questo sentirmi un ipocrita.
Cas Mudde ha scritto, giustamente, che non siamo tutti Charlie, e figurarsi se posso dire di esserlo io.
Ma una cosa mi è chiara: se scrivere, se disegnare, è in sé un modo di combattere una pacifica guerra per l’assoluta libertà d’espressione… se scrivere, se disegnare, significa far parte di un esercito che lotta quotidianamente per arricchire il mondo di possibilità e diversità, allora sento il permesso anch’io di dire, fosse anche solo dalla retroguardia: “Je suis Charlie”.
E se non lo sono, ebbene vorrei esserlo.